P. Francesco Stea, cittadino onorario e benemerito della città di Grottaglie, nonché personaggio di rilievo della cultura del più vasto territorio pugliese, nasce a Sannicandro di Bari il 1 aprile 1915 da modesta famiglia, “figlio – come egli ha scritto nel suo “Memorare”: Raminghi per virtù (Manduria 1996) – di umile gente, di modesti, coraggiosi e tenaci operai, muratori sbattuti dalla bufera e dalle angustie di chi cerca e non trova, di chi vuole e non ha per vivere almeno decorosamente”. Entra giovanissimo nel Collegio dell’Ordine dei Minimi a Paola (Cosenza), dove frequenta il ginnasio ed emette la prima professione religiosa; compie gli studi liceali, filosofici e teologici a Palermo dove nel 1938 viene ordinato sacerdote. L’anno successivo torna nel convento di Paola col compito di insegnante nel ginnasio. Fa quindi parte della comunità dei Minimi di Taranto negli anni 1941 – 44, durante i quali, insieme con altri religiosi, contribuisce a riaprire il convento dei Paolotti di Grottaglie (novembre 1943); qui risiede per circa un anno dal 1944 al 1945.
Dal 1945 al 1951 è a Milazzo in qualità di rettore del santuario di San Francesco di Paola. Dal 1951 al 1952 è a Bari; dal 1952 al 1958 torna di nuovo a Taranto dedicandosi instancabilmente al ministero sacerdotale, in particolar modo alle confessioni e alla sacra predicazione; dopo un altro soggiorno a Bari (1959 – 1961), viene assegnato al convento grottagliese (1961) dal quale non si allontanerà più, legandosi così in modo duraturo alla Città della ceramica che ha sempre considerato sua. Il 17 marzo 1963, a quarantotto anni, si laurea nell’ateneo barese discutendo col prof. Giovanni Masi una tesi sulle soppressioni religiose e l’evoluzione agraria del secolo XIX in Puglia, argomento che rimarrà sempre nella sua mente e nei suoi interessi.
A Grottaglie Padre Stea ha modo di educare e guidare per 36 anni generazioni intere come docente nel Collegio dei Minimi e nella Scuola Media “Pignatelli”, come parroco e superiore, come cappellano nell’Ospedale San Marco e, infine, come studioso particolarmente versato nella storia dell’Ordine e locale, e nella letteratura italiana e latina. Brillante oratore e conferenziere, si distingue per la forbita eloquenza, per l’efficacia e la piacevolezza della parola. Fino al 1972 P. Stea non scrive praticamente nulla se si eccettuano alcuni articoli apparsi sul bollettino del Santuario di Paola durante la sua permanenza in quel protocenobio e una nota sulla nuova facciata della chiesa di S. Francesco di Paola in Taranto risalente al 1957.
La prima opera di rilievo vede la luce nel 1972 e riguarda la parte più suggestiva del complesso monumentale del convento dei Paolotti di Grottaglie, e cioè Il chiostro di S. Francesco di Paola in Grottaglie, Monografia storico-artistica, (Edizioni del Centro Librario, Schena editore, Fasano, 1972). Il volume, con presentazione di Agostino Cajati, è riccamente illustrato con fotografie in bianco-nero di Nino De Vincentis. Segue la pubblicazione della tesi di laurea sulle soppressioni religiose; tesi che aveva condotto con il prof. Masi presso l’università barese. Riprende poi e allarga lo studio del convento grottagliese realizzando un’altra opera di notevole valore sia per il contenuto che per la splendida veste tipografica: Un monumento barocco a Grottaglie (Schena editore, Fasano 1979. Volume illustrato egregiamente con fotografie a colori e in bianco nero di Luigi Galletto). Nel 1980 dedica attenzione a uno scrittore Minimo autore di una curiosa opera letteraria sul santo di Paola: Virgilio e Dante sotto il Pecile Ateniese. Lettura del Pecile Minimitano del P. Luigi Benetelli (in “Bollettino Ufficiale dell’Ordine dei Minimi”, a. XXVI, 1980, n.1, pp. 57 – 106, Roma 1980).
Gradualmente P. Stea viene preso da interessi sempre crescenti e nuovi e da richieste alle quali non riesce a sottrarsi; scrive così, insieme a Gino Galletto, Amministrazioni e amministratori postunitari Grottagliesi, in 3 volumi (Taranto 1980, Fasano 1983 e 1985): un’opera di grande impegno commissionatagli dal senatore Gaspare Pignatelli, quando egli era cappellano presso l’Ospedale S. Marco. Con zelo e con pazienza davvero ammirevoli, ma anche con tanta perizia nella disamina e nell’utilizzazione dell’ampia documentazione inedita (tutti gli atti deliberativi del Consiglio Comunale grottagliese), egli riesce a dare a Grottaglie un sicuro punto di riferimento storiografico relativo a un secolo intero (1860 – 1968). Nel frattempo, su suggerimento del suo Mentore (così egli amava definire chi scrive questo ricordo), comincia a dedicarsi a un’opera sui letterati Minimi del Seicento.
L’idea lo entusiasma perché gli consente di esternare nel modo più congeniale l’amore sviscerato per la sua famiglia religiosa. Nasce così il corposo volume Tolti dall’oblio, scritto a quattro mani con Rosario Quaranta: Tolti dall’oblio. Letterati del Seicento italiano, Grottaglie 1986). Nell’opera si presentano, infatti, e si ripropongono cinque letterati barocchi tutti appartenenti all’istituto fondato da S. Francesco di Paola, e cioè Francesco Brancalasso, Giambattista Coccioli (grottagliese), Francesco Fulvio Frugoni, Antonio Costantini e Luigi Benetelli. Il poderoso volume, seguito e curato premurosamente anche per la parte tipografica, viene stampato dalla Tiemme di Manduria dove poi saranno realizzate tutte le altre opere e dove spessissimo P. Stea si recherà di persona coltivando sincere e durature amicizie in particolare con l’amministratore unico avv. Giancarlo Valente che lo mette in contatto con numerosi scrittori, editori e uomini di cultura.
P. Stea prosegue ancora nel disegno di riscoperta e di riproposizione delle figure più importanti dell’Ordine dei Minimi accostandosi al letterato Minimo più significativo del secolo XVIII e cioè Gherardo degli Angioli, di Eboli, poeta e oratore di grido, che era stato discepolo prediletto del sommo Giambattista Vico. All’opera, realizzata con Rosario Quaranta, egli lavora con la solita lena, con l’entusiasmo e l’amore di sempre; il volume viene pubblicato in una prestigiosa collana letteraria diretta da Aldo Vallone e si fregia di una significativa presentazione del confratello P. Alessandro Galuzzi, ordinario di storia ecclesiastica all’Università Lateranense di Roma. Nel 1988 riesce a coronare in parte un suo sogno accarezzato fin dagli anni degli studi palermitani, e cioè la pubblicazione delle opere oraziane con introduzione, note e commenti critici.
Il primo volume, uscito per l’editore Congedo di Galatina, è dedicato a Odi ed Epodi (1988); Le Satire e le Epistole seguiranno alcuni anni dopo, e cioè rispettivamente nel 1992 per l’editore Lacaita di Manduria, e nel 1996 per le Edizioni del Grifo di Lecce. Intanto egli lavora con giovanile entusiasmo, nonostante l’età, a una sorta di autobiografia condotta su un ideale itinerario dantesco: nasce così Il quadrante nel chiostro, pubblicato nel 1990 per l’editore Congedo di Galatina con lo pseudonimo di Minimo Chierico, in cui con grande spontaneità e senza falsi pudori, ricostruisce la propria vicenda umana, culturale e religiosa.
Una delle soddisfazioni più grandi la vive dal 7 a 9 dicembre 1990, quando, insieme con chi scrive (il prof. Rosario Quaranta, N.d.R.), viene invitato nella casa madre dei Minimi a Paola per tenere una relazione al II Convegno Internazionale di Studi sul Fondatore San Francesco di Paola; in quell’occasione egli tratta egregiamente la figura del Taumaturgo calabrese visto dagli oratori sacri: I predicabili su San Francesco di Paola nei secoli XVI e XVII, in Fede, pietà, Religiosità popolare e San Francesco di Paola, pubblicato poi in “Atti del II Convegno Internazionale di Studi”, Paola, 7 – 9 dicembre 1990 (Roma 1992).
Nel 1992 escono diversi altri lavori. Anzitutto un contributo riguardante la storia ecclesiastica di Grottaglie in un’opera collettanea sulla Chiesa di Taranto, e cioè: Grottaglie, la primogenita dell’Archidiocesi tarantina, in Taranto, la Chiesa / le chiese, a cura di C.D. Fonseca (Mandese editore, Taranto 1992), poi una monografia su Sannicandro di Bari, suo paese natale, segno di un non mai sopito amore per la terra natia (Sannicandro di Bari, Lacaita editore, Manduria 1992); e un intervento critico su una presunta dipendenza di Leopardi dal poeta ebolitano, poi oratore e religioso Minimo, Gherardo degli Angioli, apparso col titolo: Paradossi letterari. Gherardo Degli Angioli e Giacomo Leopardi, sul “Bollettino Ufficiale dell’Ordine dei Minimi”, a. XXXVIII, n.1 (1992).
L’anno successivo egli, ubbidendo prontamente a un desiderio del superiore generale P. Alessandro Galuzzi, pubblica ancora sul bollettino ufficiale dell’Ordine, la versione italiana dei Processi Canonici (turonense e cosentino) per la Canonizzazione di San Francesco di Paola. Nel 1995, nonostante le precarie condizioni di salute accentuate da una progressiva artrosi deformante che lo costinge a non poter più riposare sul letto, si dedica ancora con ammirevole dedizione al suo amatissimo Santo con una corposa e importante monografia letteraria in cui accoglie tutti gli scrittori italiani più significativi (tra i quali il nostro Giuseppe Battista) che avevano trattato del santo Paolano: Francesco da Paola. Prospettive letterarie, (Tip. Tiemme, Manduria 1995). Lo stesso anno egli dà alle stampe Il solco sotto traccia (Tip. Tiemme, Manduria 1995), un romanzo incentrato sulla storia avventurosa e in parte vera di un religioso Minimo di Fasano, ambientata tra Sette e Ottocento, non senza qualche venatura autobiografica.
Al 1996 appartengono le ultime opere: il terzo volume sull’amato Orazio, ossia le Epistole, e il significativo tributo alla sua famiglia naturale della quale ricostruisce le vicende difficili e quasi eroiche ricordando i propri antenati, definiti in modo appropriato raminghi per virtù (Tiemme, Manduria, 1996). Un riconoscimento alla sua attività arriva nell’estate del 1997 (23 agosto), con l’assegnazione del premio speciale per la ricerca storica nell’ambito della seconda edizione del premio nazionale alla cultura Giuseppe Battista, organizzato dall’omonima associazione grottagliese: “Per i suoi studi storici e la sua ricerca per la cultura classica, che lo hanno contraddistinto come Protagonista della riscoperta del Sud”. Avrebbe potuto considerarsi appagato per aver prodotto tante opere e così significative, ma la sua connaturata curiosità culturale lo spinge a non fermarsi e a non sciupare tempo, come spesso amava ricordare con l’immortale Dante: “che ‘l perder tempo a chi più sa più spiace.”
Ed eccolo ancora, ormai al tramonto della vita che amava più d’ogni altra cosa, progettare e tuffarsi a capofitto in un’altra opera: uno studio comparato di alcuni grandi letterati recenti, accomunati dallo stato sacerdotale e dall’afflato poetico: Zanella, Rebora, Turoldo e il suo amico gesuita P. Salvatore Mario Trani. Un’opera che, purtroppo, non poté completare a causa della morte avvenuta nel convento grottagliese dei Paolotti, nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 1997.
Padre Stea possedeva elette qualità umane: tratto gioviale, bonomia, serenità, capacità di intrattenere rapporti amichevoli con persone di ogni età e di tutti i ceti sociali; aveva un amore spiccato per l’arte e per la musica. Si faceva apprezzare anche per le battute intelligenti e simpatiche, espresse per stemperare momenti difficili, per incoraggiare, per rasserenare, per distendere gli animi, per indirizzare verso i valori umani e religiosi.
Nel Quadrante nel chiostro riferisce spesso dei suoi viaggi in Italia e all’estero, segno di una innata curiosità e di grande rispetto per le diverse culture. Aveva una invidiabile apertura mentale che gli consentiva di evitare da una parte quegli sterili moralismi che spesso allontanano dalla religione invece di avvicinare, e dall’altra l’acritica accettazione di ogni novità in campo religioso, sociale e culturale. Sua massima preoccupazione era di coniugare le esigenze dell’umanità e della trascendenza, della ragione e della fede, della società e della Chiesa da lui vista sempre come madre premurosa e affettuosa.
L’amore particolare per l’Ordine dei Minimi e per il suo Patriarca San Francesco di Paola lo portava, come testimoniano le tante pubblicazioni ricordate, a studiare come ben pochi la storia e la spiritualità Minima, approfondendo le vicende, i personaggi, i monumenti della sua famiglia religiosa. P. Stea amava anche i sacri ambienti del convento grottagliese, l’intero paese della ceramica, la sua storia, i monumenti, le contrade del territorio, la cultura contadina, il corposo dialetto, la civiltà della ceramica, i tanti personaggi antichi e moderni..
Ecco, ad esempio, come descrive Grottaglie, il suo paese di adozione, nel suo Un monumento barocco: “Su una di queste colline, dove profuma il timo ed olezzano il serpillo e la nepitella, chi dal Galeso s’inoltra verso Oriente, Grottaglie assidersi vede, a chiusura di quello scenario, che, a destra, s’apre con San Giorgio Jonico, s’alza a Roccaforzata e si solleva a Monteparano, s’abbassa a Carosino e a Monteiasi, per risalire a Montemesola; e in fondo, a manca, la cornice dei Monti di Martina.
Tre gli aspetti tipici della cittadina: quello antico, di quasi un millennio, groviglio di vie e viuzze che s’intersecano l’una nell’altra, come a formare un dedalo intricato, dal quale è difficile uscire; abitazioni ancora assai modeste, silenziose e taciturne. Sotto i merli dell’antico maniero medievale, le botteghe dei figuli: grotte scavate nel ventre della roccia, annerite dal fumo delle fornaci, quasi antri preistorici, in cui pare nascondersi il mostro omerico dell’Odissea.
Il terzo è il rione alto “de le case nove”, dove Grottaglie va ogni giorno più estendendosi : dimore tenute costantemente linde e pinte, “allattate”, di frequente, specie, nelle maggiori solennità dell’anno ; balconi infiorati di garofani e di gerani sempre verdi; in tali vie incrociantisi a scacchiera, secondo il criterio dell’urbanistica moderna, campeggiano, nello sfavillio della più recente policromia, alcuni importanti edifici.
Tre pure le antiche contrade storiche: la discussa Rudiae, situata sulla Via tarentina ; Mesocoron, sull’Appia, entrambe rase al suolo negli anni funesti “di rabbiosi e cruenti conflitti”, che seguirono alla caduta dell’Impero Romano; poi Salete, danneggiata, ma non distrutta. Furono questi i tre nuclei principali dell’odierna Grottaglie. E con la storia s’intreccia la leggenda, e la toponomastica antica, alterandosi con il tempo, diede vita e nome agli abitanti di Rudiae in Rusciu, divenuta, in seguito “Riggio”, Casale Magnum, oggi Grottaglie, e Casale Parvum, ora lama di Pensieri…”
E alla fine, egli conclude:
“Se Orazio (il suo Orazio, l’autore latino più amato e studiato, croce e delizia della vita intera ) tornasse a vivere, forse, non disdegnerebbe di venire ancora a dorso di mulo dalla sua Venosa a Taranto per gustarne il mare, il pesce squisito e i frutti fragranti; egli darebbe una sferzata ancora al suo paziente mulo e tirerebbe sino a questo poggio, sul quale, se non arride il mare con i suoi riflessi d’argento, ne invitano la salubrità dell’aria e la tranquillità del luogo”!
Alcune sue dolcissime espressioni rivolte alla Vergine Santa tratte dal bel volume autobiografico Il quadrante nel chiostro, confermano nitidamente questo aspetto: “La maestà di Dio mi ha sempre soggiogato e non mi sono rivolto a Lui direttamente, ma tramite intercessori, in particolar modo la Vergine Madre sua. Nelle vicissitudini della vita, Lei ho sempre invocato e, ripetutamente, con la recita della corona, anche completa delle quindici poste; durante la lunga degenza del mio male. L’ho tempestata fino ad annoiarla anche e senza alcun rispetto umano; mi hanno così visto medici, infermieri e ammalati: “Ave Maria”, pur se recitata meccanicamente, con la volontà e con cuore aperto, fremente di devozione e di pietà.
Gli accenti sublimi che soddisfano appieno il cuor mio sono versi immortali con i quali ho imparato sin dalla giovinezza nel rivolgermi a Lei: “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, umile e alta più che Creatura, termine fisso d’eterno consiglio. Tu se’ Colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘1 suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura”.
P. Francesco Stea è stato un grande uomo di cultura, un grande maestro, un grande educatore; tuttavia non si deve porre in secondo piano anche la sua grandezza come sacerdote, come religioso e come uomo di chiesa, in cui ha manifestato senza alcun dubbio uno splendido segno nella scienza della santità. E infatti il Rev.mo Mons. Giovanni Zappimbulso di venerata memoria, già Vicario Generale di Taranto, terziario Minimo e fervente devoto di S. Francesco di Paola, rammentò questo aspetto in una sua nobile lettera speditami il 12 agosto del 1998, in cui definì P. Stea maestro “della storia della Letteratura, della Teologia, della Memoria civica e religiosa, e, soprattutto, della Scienza della Santità, un Uomo, un Sacerdote che fu e resta un Maestro dell’essenziale. Fu e resta uno dei più illuminati, sapienti, santi maestri”. E in altra occasione ebbe a scrivere di lui che “aveva il cuore saturo del Suo San Francesco, riboccante della carità e dell’umiltà del suo Santo: per tanti, nella parrocchia di San Francesco di Paola in Taranto – ove pure c’erano altri santi sacerdoti Minimi come P. Carlo Esposito, P. Antonio Sirico, P. Michele Stea e P. Saverio Salamina – era punto sicuro di riferimento, pur se nascondeva la sua bonomia sotto una maschera burbera di forzata severità”.
Grottaglie, in segno di gratitudine e di rispetto, lo ha voluto onorare conferendogli la cittadinanza onoraria post mortem il 21 aprile 1998, su petizione popolare promossa per iniziativa di chi scrive e prontamente accolta dal Sindaco Giuseppe Vinci e dal Presidente del Consiglio Comunale Francesco Donatelli. La petizione, firmata da 500 concittadini di tutti i ceti sociali, venne votata all’unanimità e per acclamazione nel Consiglio Comunale riunito in sessione straordinaria, alla presenza di numeroso pubblico. Inoltre, il 1 aprile 2008, nella “sua” chiesa dei Paolotti, a poco più di dieci anni dalla morte e alla presenza di folto e attento pubblico, è stata ricordata la sua opera di critico letterario e in particolare il suo amore per il padre della letteratura italiana e per la “Divina Commedia”, con una Lectura Dantis tenuta da chi scrive, organizzata dal locale Liceo Scientifico e Classico “Moscati”: Dante nell’esperienza umana e letteraria di Minimo Chierico: P. Francesco Stea.
A distanza di tanti anni permangono perciò ancora vivi e incancellabili la figura, l’esempio e gli insegnamenti di Padre Francesco Stea: preziosa eredità umana, culturale e religiosa non solo per la sua amatissima Città della ceramica, ma anche per tutto il nostro Sud.
Nota bibliografica.
Sulla famiglia di P. Stea si veda: Raminghi per virtù. Memorare (Tiemme, Manduria 1996): opera singolare che sta tra storia, memorialistica e romanzo. Per la sua biografia intellettuale cfr.: MINIMO CHIERICO (pseudonimo di P. Stea), Il quadrante nel chiostro. Memorie, (Congedo editore, Galatina 1990). Per approfondimenti biobibliografici cfr.: Il viaggio di Minimo Chierico. P. Francesco Stea, a cura di Rosario Quaranta, Ed. del Grifo, Lecce 1999; R. QUARANTA: P. Francesco Stea, in San Francesco di Paola e i Minimi a Grottaglie, Parte terza, I religiosi Illustri, in “Bollettino Ufficiale dell’Ordine dei Minimi” a. LIV, n. 2 (aprile-giugno 2008), Roma, pp. 222-228.