Grottaglie e l’arte della ceramica si coniugano in un binomio consolidato e indissolubile ormai da tempo.
«Tutto a Grottaglie parla di ceramica. Già Niccolò Tommaso D’Acquino nelle sue Deliciae tarentinae scriveva:
Desuper apparent clivosa mapalia cryptae
Pastorumque lares, fumosaque tecta, neque alta
Pendentes de rupe deest spectasse capellas».
(“Mirasi poi da l’alto in bel prospetto/ de le Grottaglie l’inegual collina/ e i rustici tuguri ed ogni tetto/ fumante di sua plastica fucina” Traduzione italiana a cura di Cataldo Antonio Carducci, in “D’argilla – un viaggio tra le ceramiche di Grottaglie” di Giovanni Acquaviva, Schena, Fasano).
Infatti, per secoli, la produzione ceramica ha rappresentato la principale fonte economica – produttiva della cittadina. L’arte del vasaio è molto antica e affonda le sue radici in una tradizione che è avida di cambiamenti e innovazioni. Il suo è un lavoro che si tramanda da generazione in generazione.
«Pressato dal lavoro e dal bisogno di guadagno, chiuso in un ambiente culturalmente ristretto, il vasaio tentava di esprimere se stesso col solo mezzo che aveva a disposizione, l’abilità delle mani unita alla vivacità dell’ingegno, e l’esigenza estetica insita in ogni uomo lo spronava a modellare forme e a creare decorazioni dove si fondessero funzionalità e fantasia» si legge nel libro di Ninina Cuomo Di Caprio, Ceramica rustica tradizionale in Puglia, Congedo, Galatina. Una continuità stilistica e tecnica che però lascia spazio al carattere personale che ciascun vasaio apporta al manufatto rendendolo unico e riconoscibile in mezzo a tanti altri oggetti di simile fattura. Ogni vasaio lascia la propria impronta e ogni bottega possiede le sue peculiarità che sono causate dal passar del tempo, dalle tecniche di lavorazione, dalla possibilità di reperire materiali e che consentono di distinguerla dalle altre. Differenze determinate da leggere modifiche nelle forme dei manufatti, negli attrezzi utilizzati, nel trattamento delle materie prime o nella composizione dei rivestimenti che rendono quest’arte piena di sfaccettature e difficilmente classificabile entro schemi prefissati o generalizzati.
Negli ultimi decenni, la tecnologia e l’introduzione di innovazioni hanno profondamente mutato quest’arte sia nelle forme che negli stili per rispondere a nuove esigenze tecniche e commerciali.
Un po’ di storia
La produzione artistico – artigianale del territorio affonda le sue radici già nel IV secolo a.c. quando, alcuni gruppi insediatisi attorno alla capitale della Magna Grecia, Taranto, si specializzarono in quest’arte, realizzando manufatti di grande pregio, incentivati dalla presenza di grandi giacimenti di creta. Ne sono testimonianza numerosi reperti archeologici conservati presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Taranto anche se, in realtà, la produzione della ceramica nel territorio di Grottaglie si attesta nel periodo precedente alla colonizzazione greca.
L’epoca medievale vede una produzione artigianale molto florida negli antichi insediamenti di Casalpiccolo, Rudiae e Salete interessate dalla migrazione dei Saraceni che influenzarono gli stilemi produttivi anche in epoche successive. Cosimo De Giorgi, scienziato e medico appassionato anche di geografia e archeologia, nella sua opera “Bozzetti di viaggio” – citata in “D’argilla – un viaggio tra le ceramiche di Grottaglie” di Giovanni Acquaviva – racconta di aver visitato Grottaglie per farsi un’idea sui figuli e dice di aver trovato grotte profonde, alcune naturali e alcune artificiali: “Sono gli ultimi avanzi dei popoli trogloditici che in tempi storici, non molto lontani dai nostri, cioè dal IX al X secolo si rifugiarono qui per salvarsi dalle continue scorrerie e depredazioni dei Saraceni. In queste grotte si trovano ancora le abitazioni di una parte di questi operai e paiono delle vere tane da lupi. Il colle è tagliato in alto da larghe spiantate, che servono al prosciugamento dell’argilla lavorata, prima di essere posta alla cottura; e molte grotte servono da magazzini per depositarvi l’argilla grezza o le terraglie già lavorate. In altre grotte ho veduto i truogoli per sciabordare e depurare la materia prima, che deve passare per la cola e formare i piallacci; più il menatojo, i banchi, il tornio e i macianelli per le vernici.”
Ciò dimostra che la produzione arcaica medievale era realizzata in Puglia e non veniva importata, anzi, veniva venduta in altri paesi al di fuori dell’Italia attraverso il porto di Taranto. Nel “Chonicon Salernitanum” è riportata la notizia che nel XI secolo a Taranto era attivo un porto e un centro commerciale in cui si effettuava la compravendita di terracotta, la maggior parte della quale doveva essere prodotta a Grottaglie che era considerato il principale centro ceramico della terra d’Otranto.
La ceramica grottagliese venne influenzata dalle diverse culture che si stabilirono nell’Italia meridionale: la bizantina, presente in Calabria e Campania, quella copta, del gruppo etnico egizio – cristiano, diffusa dai monaci Brasiliani, l’islamica, conseguenza dei rapporti commerciali, della conquista araba di Taranto nel XI secolo e dall’istituzione di un emirato arabo a Bari. Gli arabi, infatti, erano specializzati in questa attività artigianale, così come gli ebrei, che, scappati in seguito alla distruzione di Oria, si insediarono a Grottaglie.
Il Quartiere delle Ceramiche
Proprio al tardo Medioevo risale la concentrazione di botteghe artigiane nel quartiere delle “Cammenn’ri”, nome che discende da “Camini” proprio per la presenza di numerose fornaci.
Fino al Sei – Settecento l’attività figulina era rivolta principalmente alla produzione di laterizi e mattoni per uso edilizio e di suppellettili e oggetti di uso comune che rispondevano alle esigenze quotidiane della popolazione. Si trattava di una produzione “rustica” poco lavorata e decorata. La ceramica faentina, proveniente da Laterza, giocò un ruolo determinante nell’artigianato grottagliese in quanto ne influenzò le forme, le tecniche di produzione e le decorazioni anche se gli effetti si mostrano solo qualche decennio dopo la sua diffusione. Essa, infatti, contribuì al perfezionamento stilistico e decorativo della produzione grottagliese giungendo a sostituire quella “rustica”.
L’espansione della maiolica si diffonde a Grottaglie alla fine del ‘600 grazie ai contatti con Laterza dove la produzione di qualità era molto fiorente a causa della presenza della nobiltà spagnola. Con il passar dei secoli si distinsero due specializzazioni lavorative: quella dell’arte ruagnara e quella dell’arte faenzara che, inizialmente, tendevano a identificare due tipologie distinte di artigiani, ma che oggi, si integrano tra di loro. Ciò che distingueva, in passato, i ruagnari dai faenzari era che i primi avevano maggior prestigio economico, dal momento che, li veniva garantita una rendita fissa in quanto producevano oggetti d’uso quotidiano e quindi indispensabili, che poi, col passar del tempo, persero valore a causa dell’introduzione di nuovi materiali più economici, nuove tecniche e nuove mode.
L’arte ruagnara può essere anche definita con altre denominazioni:
• “Robba gialla” che contempla la produzione di oggetti d’uso comune che subiscono una sola cottura. Essi vengono rivestiti totalmente o parzialmente da ingobbio e da invetriatura piombifera trasparente, colorata con ossidi metallici.
• “Robba rossa” detta così perché la percentuale di ossidi di ferro impiegata è maggiore e assume un colore rossiccio. Consiste nel pentolame da cucina che subisce un procedimento lavorativo diverso che la rende resistente al fuoco.
• “Robba verde” definita così perché la ceramica durante l’invetriatura assume un colorazione verde più o meno intensa a seconda della quantità di colorante impiegato derivante dalla presenza di ossidi di rame.
• “Arte capasonara” che identifica sia l’arte ruagnara in generale che la creazione di grandi contenitori destinati soprattutto al vino, il “capasone”, l’anforone che per Grottaglie rappresenta uno dei prodotti tipici.
• “Robba rustica” che comprende terrecotte senza rivestimento che vengono cotte una sola volta. Racchiude manufatti di fattura grossolana e umili, da utilizzare per gli usi più comuni.
L’arte faenzara, arte gentile o arte sottile viene definita anche “robba bianca” o “robba stagnata” o “robba fine” o “opera bianca” e ogni voce indica manufatti di diverse dimensioni. La “robba bianca” si differenzia da quella “gialla” sia per la maggior cura impiegata per le rifiniture e la modellazione sia perché viene sottoposta a due cotture e per la composizione del rivestimento vetroso. Viene definita “robba bianca” anche se il colore di fondo non è quasi mai veramente bianco, ma avorio o tendente al giallo tenue. Il suo uso specificatamente decorativo ed estetico e questo fa sì che questo tipo di ceramica occupi una posizione di preminenza rispetto agli altri tipi.
Le decorazioni sono sempre policrome con motivi tratti dalla tradizione o che riguardano paesaggi o scene figurate. Se il rivestimento che ricopre la superficie è uno strato di smalto bianco o colorato assume la denominazione di “maiolica” dal nome dell’isola di Maiorca che nel Rinascimento fu uno dei centri più importanti del traffico dalla penisola iberica all’Italia ed ebbe una funzione di mediatrice per le tecniche innovative provenienti dall’Oriente islamico.