Gli Islamici sono alle porte e non bussano. La debolezza dei cristiani diventa ipocrisia. Ci sveglieremo una mattina e vedremo progettata o già costruita una Moschea accanto ad un Chiesa, un Minareto di fronte ad un Campanile. L’Occidente è anche questo.
lo scrivo nel giorno di San Francesco. Dove va Papa Francesco? Abbandoni la teologia e vada oltre il suo dialogare con il laicismo che endrebbe immediatamente interrotto. Abbiamo bisogno di una cristianità forte per non essere invasi dai musulmani. In un tempo dello “scarto” restiamo nelle “periferie”. Ascolto alcuni dettagli di Papa Francesco e leggo il libro di Antonio Socci che non mi piace. “Non è Francesco…” è un libro senza un senso, soprattutto nell’incrocio storico che attraversiamo oggi. Bene ha fatto ad andare in Albania. Bene farà ad andare in Turchia.
Ho sempre sostenuto la differenza tra il Cristo che dovremmo vivere e la teologia che detta le regole al vizio del potere della Chiesa. Ma qui siamo oltre. Io resto un cristiano senza Chiesa e quindi senza teologia da seguire o disubbidiente felice alla Chiesa.
Il libro di Socci è inquietante e fuori tema in una discussione alta sulla quale ci stiamo impegnando per vivere l’ubbidienza e la disubbidienza. Papa Francesco è il confine e l’estremo di una civiltà sbandata. Lo scarto e le periferie. Di ciò però viviamo. Il pensiero di Francesco non ha grandi voli, ma è un uomo che ha vissuto tra gli scarti e le periferie.
È dal discorso di Papa Benedetto XVI, a Ratisbona, che seguo la posizione dei Gesuiti e di Papa Francesco anche se è dalla civiltà di Matteo Ricci che vivo la “politica” del senso gesuitico. Non mi sono piaciuti e non mi hanno convinti i suoi discorsi a Lampedusa, il suo “…chi sono io per giudicare…” sulla posizione degli omosessuali, il suo non gridare il sacrificio di Cristo e dei cristiani nei luoghi Ottomani, il suo “Buon appetito” domenicale, il suo aprire al mondo laicista e la sua presenza su quotidiani che hanno educato ed educano al laicismo… Non mi è piaciuto e continuo a non seguirlo su queste strade.. Ho bisogno di un Papa forte… Siamo nell’Occidente della cristianità. Il Papa lo sa e anche noi lo sappiamo ma basta con le aperture, basta con le accoglienze senza regole.
Forse abbiamo perso il sorriso. Perplessi, eppure siamo tanto vissuti che nessuna spina ci può far male. Si osserva ciò che ci passa accanto. Il banale domina. Ma la anche il provvisorio. Il tempo che cammina dentro di noi è un tempo che non si scrive. Siamo l’intreccio di ombre e di luce. Siamo liberi ma sempre prigionieri. Forse siamo consapevoli e incoscienti. Abbiamo la fede. ma forse non la abitiamo.
Chiediamo risposte a Cristo ma spesso ci dimentichiamo del deserto, della conversione di Paolo e delle solitudini di Agostino. Paolo e Agostino: due modelli oltre la voce della convivenza primigenia tra vita e teologia. Siamo incauti ma vorremmo dare una regola all’irrazionale che ci sorprende e a volte ci cattura dentro il “sorprendente” Mistero che è Grazia. Credo che troppa teologia ha lacerato il mistero della Chiesa. Ma se non ci fosse stata la Chiesa, quella mistero, saremmo stati catturati dagli Ottomani.
L’inquieto del nostro esistere e la chiarezza delle ombre che chiedono all’aurora di farsi ascoltare non vivono nella trasformazione delle “regole”. È l’eresia che salva e non la teologia. Dove va questa Chiesa che dovrebbe difendere la Parola di Cristo?
Le premesse di un auspicato percorso teologico ci conducee verso delle inquiete disubbidienze. Capisco la visione di Cristina Campo di credere nella tradizione dei Padri della Chiesa e un “ortodosso” cristiano eretico come me non può che restare accanto al suo sguardo. Io non sono nella Chiesa teologia. Ma la “libertà” del mondo cattolico si intrappola tra religione e “ideologia”.
L’ortodossia è un taglio del dogma che propone una voce ancestrale tra i nostri vuoti e i nostri tremori. La fede in Cristo resta come riferimento di una cristocentricità che vive nella Croce. Cristo non muore in Croce. In Croce diventa Rivelante. Cristo ci mostra la Croce e pone un interrogativo forte: l’ubbidienza non alle regole ma al mistero della fede o la disubbidienza alla pazienza di vivere e viversi nel mistero.
Il poeta che continua a vivere nei miei studi sulla ontologia della poesia, ovvero Nazhim Abshu, mi ha posto davanti al dubbio. Perché il mistero è il dubbio. Cristo è il nostro dubbio. Non è il dubbio della sua presenza. Il dubbio è dentro di noi ma con Lui si attraversa ogni “coincidenza” con il “forse” per diventare il sempre in Cristo. E se c’è il sempre in Cristo le regole non mi servono perché il radicamento della fede è nella nostra vita anche quando la nostra anima graffia la tentazione del suicidio.
Non credo che la preghiera ci allontani dal nostro costante suicidio. Ci avvicina comunque alla salvezza e la salvezza non è fatta di certezze ma di quella nostalgia che percorre tutto il tempo del nostro esistere. La fede non è soltanto speranza. È il dono di un camminamento. Io ho fede? Il mio camminamento si fermerà ai piedi di Gesù? Chi mi tenterà di sollevarmi dall’abisso?
La teologia della parola non tocca lo sguardo. Scindere la teologia dal mistero è una questione aperta di questo mio incrociare il dubbio e la sapienza di verità, alle quali non mi aggrappo. Nonostante il mio viaggio graffi le pareti della tentazione e la salvezza resta una profezia. Ma la salvezza non si giustifica e tanto meno bisogna spiegarla.
Se resto un cristiano senza Chiesa (come nel “ragionamento” di Ignazio Silone) o un cristiano che vive la sua perdizione, come nella costante sofferenza di Giovanni Papini, è un problema che riguarda la mia passione dentro la cristocentricità del mio esasperante silenzio.
Cristo, ripeto, non muore in Croce (l’eresia è imperdonabile nell’assoluto della teologia) perché non può scontare i peccati di tutti, ma accoglie le verità e le menzogne di tutti e offre non la sapienza ma la carità dell’amore. E tutto questo non è teologia. Certo, è ortodossia ed eresia dentro la missione della chiesa. La chiesa è l’assoluto mentre Cristo è la perdizione che mi spinge oltre la fede e il destino.
Tocco due disperazioni. La fede che è paziente e misteriosa. Il destino che è un disegno preordinato nella vita degli uomini. Il mio cammino è un lento desiderio di leggere il processo a Gesù (nella immagine e nella dimensione drammaticamente religiosa di Diego Fabbri).
Il vuoto non ha desideri e non ci sono desideri di vuoto, ma la storia non è speranza e non ha documenti da mostrare nel mio silenzio orante ai piedi della Croce. Cristo impedirà il suicidio dell’anima. Solo il mistero potrà colmare il vuoto.
Papini chiudendo la sua storia di Cristo ci inquietava terribilmente e rivolgendosi a Cristo: “… ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore”. Amore implacabile.
Giuseppe Berto cercava nel suo dialogo con Giuda la salvezza. Ma la salvezza non ci porta alla teologia. Il mistero e la Grazia sono viaggi della spiritualità e nella spiritualità. Ma abbiamo un grande viaggio da compiere nei nostri deserti.
Siamo in un tempo in cui la teologia chiede l’ubbidienza e il mistero ci offre la fede. Ma come ha sempre suggerito Francesco Grisi restiamo ai piedi della Croce aspettando una parola che non verrà pronunciata, ma ci verrà detta. Questo non significa ubbidire.
La disubbidienza verso la Chiesa è la disubbidienza al laico – laicismo che è nella teologia Conciliare. Io vado oltre perché sono così radicato nella Tradizione che non mi permette, per fede e coerenza, ad abitare altri viaggi.
Perché tutto questo mio dire? Perché voglio usare la filosofia e il pensiero prima di andare alla guerra.
Ciò però vuol dire anche che il libro di Antonio Socci mi ha infastidito e le sue posizione o la supponenza iniziale di Messori sono nella teologia della crisi. Invece di viverlo il Cristo oltre la teologia si cerca di “processare” il Francesco teologico. Viviamo in un tempo che è difficile abitare.
Oggi l’unica identità resta quella cristiana. Ma bisogna che diventi forte altrimenti accanto alle Chiese vedremo sorgere Minareti e Moschee. Non so se ai teologi questa realtà possa andar bene. Io, distante dalle teologie, ma cristiano, non sono accondiscendente. Il Papa non resti a guardare. Ma io questa volta difendo Papa Francesco. Faccia in modo di solcare sempre più il Cristo oltre la teologia.