Feuerbach asseriva :”Noi siamo quello che mangiamo” e non solo, direi. Noi siamo quello che mangiamo e soprattutto ‘come’lo mangiamo. Tendenzialmente una persona ansiosa tende a mangiare frettolosamente, una persona con umore depresso tende a mangiare troppo o troppo poco, ma comunque, in entrambe le situazioni, queste persone non gustano il cibo che stanno assumendo.
Alimentarsi, come respirare e dormire, è un bisogno fisiologico primario, essenziale per la vita dell’essere umano. Ma il cibo non ha solo valore nutritivo, ha un forte valore psicologio e sociale. E questo è noto sin dalla nascita, o ancor prima, poichè il cibo assume un notevole significato che va oltre l’azione del ‘semplice’ mangiare.
Il bambino sente che la mamma, il papà, la zia, nonna ecc.ecc. non sono indifferenti al cibo che assume e spesso scopre che il suo modo di alimentarsi ha diversi effetti e pertanto, a volte, il cibo può divenire strumento di comunicazione nei confronti di questi adulti. Il cibo quindi riveste diverse funzioni: nutritiva sicuramente, ma anche e soprattutto in alcune situazioni, affettiva, relazionale, culturale.
Ritengo che molte persone comunicano attraverso il proprio modo di alimentarsi o di non alimentarsi. Stanno comunicando ‘qualcosa di importante’ a sé e agli altri intorno a sé. Molto spesso il cibo è veicolo di emozioni, basti pensare alle cene fra amici o una cena a lume di candela. È un modo per stare insieme, condividere emozioni e vissuti.
Ed è proprio attraverso il cibo che si esprimono le nostre emozioni, ansie, aspirazioni…e, ancora una volta, tutto il nostro corpo è strettamente interconnesso in questo processo nutritivo. Assumiamo il cibo attraverso la bocca, ma tutti i nostri sensi e apparati, direttamente e indirettamente, ne sono coinvolti. Spesso stati di ansia, tensione e stress hanno effetti diretti sull’apparato gastroenterico ed è stato dimostrato come diverse tecniche di rilassamento psico-corporeo e di meditazione possano aiutare la persona a ritrovare uno stile di vita equilibrato e sano.
In alcuni disturbi alimentari spesso accade che il trattenere i chili di troppo è un trattenere, in modo disfunzionale, le proprie emozioni…è un modo di esserci nel mondo, è un modo di esserci per se stessi e le persone più care intorno a sé. Il rapporto con il cibo è fortemente ambivalente per alcune persone e, a volte, regressivo: il cibo è uno strumento che consente di ‘riempire’ un vuoto, uno strumento per dire ‘io esisto’ oppure uno strumento per urlare ‘io non esisto!’. Il cibo è bifronte: uno strumento di vita e di autodistruzione. La persona sceglie in base alle proprie emozioni e vissuti presenti e passati che dimorano il corpo, la mente e l’anima.
Spesso emozioni e stati d’animo contrastanti tra loro divorano le persone che soffrono di disturbi alimentari: solitudine, senso di vuoto, vergogna, senso di colpa, rabbia, paura associate ad una carente autostima.
Posso sostenere con fermezza che il problema non è con il cibo in sé per sè! Il problema è con la sfera emotiva, affettiva e relazionale. Il cibo è un mezzo non verbale attraverso cui scegliamo di nutrirci o de-nutrirci emozionalmente, mentalmente e fisicamente. Ritengo sia basilare pertanto sensibilizzarsi affettivamente all’ascolto di sé, prendere contatto con le proprie emozioni, imparando a distinguerle e gestendo eventualmente stress, ansia, malesseri affettivi e relazionali in maniera efficace e costruttiva, chiedendo aiuto agli esperti nutrizionisti, psicologi, psicoterapeuti e medici di fiducia.