E’ il giorno di Santo Stefano, tutti hanno il dovere “sociale” di stare con gli altri e, nell’ordine, bisogna: fare gli auguri, sorridere, chiedere come va la vita e mostrare interesse anche se, di tutto ciò, a te, in quel preciso momento, non interessasse proprio nulla.
L’unico modo per sfuggire a tale situazione e rifugiarsi nella propria solitudine e così, rimasto solo a passeggiare a Grottaglie, ricordarsi che c’è la mostra di quadri del maestro Gaspare Mastro; lui ti accoglie col sorriso e ti fa entrare nel suo mondo, quest’anno fatto di “nature morte”.
A differenza di altri quadri aventi lo stesso tema, in quello di Gaspare c’è qualcosa che parla di me, che parla di noi, delle nostre origini; nel guardare quelle raffigurazioni, all’improvviso mi trovo a parlare con me stesso.
Mi catapultano in una scena di oltre sessant’anni fa, mio nonno, con gli occhi pieni d’amore, poggia sulla tavola del salone, imbandita per la colazione della domenica, una rosa mentre mia nonna si è assentata per un momento.
E’ proprio lì che ferma la scena il maestro, su quella tavola composta da un’antica moka napoletana ancora fumante, vicino alla portata da caffè di ceramica usata solo per i momenti importanti della vita, con la sveglia in acciaio che segna l’ora “benevole” in cui fare colazione solo durante i giorni di festa, otto meno dieci, e una radio d’epoca che suona una musica romantica di quel periodo.
Lascio solo i miei nonni a fare la loro meritata colazione e mi volto a osservare una brocca di ceramica che raccoglie dei fiori, gialli germania, che mio nonno ha portato di ritorno dalla campagna la sera prima; poco più in là, c’è un altro vaso questa volta in vetro che accoglie papaveri rossi e altri fiori di campo che regalano armonia e colore a quei mobili di legno antico.
Il rosso fa da padrone anche in un altro angolo della cucina dove, una cesta in vimini, accoglie dei melograni buoni e genuini pronti a intervenire per soddisfare inaspettati languorini.
Non c’è una tovaglia a coprire il tavolo, troppo costosa, ma un umile strofinaccio, bianco e pulito, dove è ulteriormente poggiato una tozzo di pane e un bicchiere di vino rosso; tutto parla delle mie origini, vissute e non, viste con gli occhi nostalgici di chi ha tutto ma non apprezza nulla.
Non ho voglia di uscere da quella casa di un tempo e provo già nostalgia delle sensazioni che lì ho ritrovato; però sono felice di aver preso consapevolezza che quella casa e quelle sensazioni sono dentro di me.
Esco meno solo dalla mostra di Gaspare e mi ricordo di aver promesso al ceramista Mimmo Vestita che sarei passato dalla sua bottega, mi vuole mostrare un luogo magico.
Entro nella sua bottega avvolta da una luce soffusa e da un dolce silenzio in cui, qualsiasi suono, può farti compagnia, perfino il pennello del maestro che decora la terracotta; interrompo quel silenzio con un saluto cortese e chiedo come mai al lavoro anche in questo giorno di festa.
La serenità interiore che mi trasmetteva quella scena, era già una gran bella risposta; lui parla di una forma di preghiera, richiama il motto dei benedettini “ora et labora” e, sorridendo, afferma di essere un monaco.
Poi prende le chiavi e apre il sotto bottega; si apre dinanzi a me un grande stanzone, le volte alte sono “a stella” e mi trasportano nell’ottocento quando, quella era la più grande bottega di ceramica di Grottaglie.
Accoglieva i forni per la cottura della ceramica più grandi del quartiere, come testimoniato dalla furiggine presente sul soffitto.
Nel centro di questa sala si trovava una mostra di vasi contemporanei che sembrano fatti di bronzo nero, in realtà sono di ceramica ma smaltati con una particolare tecnica che produceva quell’effetto metallico.
E’ una tecnica antichissima, del quinto secolo Avanti Cristo, di nome “Attico”; così inizio a viaggiare con la fantasia nel mitico periodo greco, senza il quale, avrei ben poco di quello che ho oggi.
La bellezza dell’arte e della fantasia ha così, il giorno di Santo Stefano, riempito la mia solitudine.