Che in Italia si legga sicuramente poco e non di rado male è cosa abbastanza nota, e capita così che uno scrittore europeo e vincitore del premio Nobel per la letteratura sia quasi sconosciuto ai non addetti ai lavori che pure hanno qualche dimistichezza con gli scaffali delle librerie. Lo scrittore è il francese Jean Patrick Modiano, insignito del prestigioso riconoscimento dall’Accademia svedese nel 2014 e che, nonostante una carriera quasi cinquantennale, non gode dei fasti della popolarità riservati a scrittori meno prolifici e profondi.
Un modo per avvicinarsi alla sua scrittura è “Sconosciute”, una raccolta di tre racconti edita da Einaudi che ripropone alcuni temi ricorrenti nelle opere dello scrittore transalpino, quali la fuga, il ricordo, l’indagine della memoria ed un particolare rapporto con il passato, che rappresenta il qualche modo il luogo temporale dove si costruisce il presente dei protagonisti, ma da cui bisogna comunque prendere le distanze per costruire un futuro, quale che questo sia. In questi racconti infatti, le protagoniste sono tre giovani donne, di cui l’Autore fornisce pochi e scarni tratti biografici e tace il nome, evidenziando il loro essere sconosciute, prima di tutto a se stesse; tre donne che – ciascuna a suo modo – vivono una partenza, un viaggio ed un arrivo che si rivelerà fatale per la propria vita. I racconti sono in prima persona, la voce narrante si affianca al lettore, lo guida lungo il filo dei ricordi e nella descrizione quasi nostalgica dei luoghi teatro degli accadimenti, in un misto di malinconia e consapevolezza della ineluttabilità di un destino diverso per ciascuna di loro, che però si ritrovano simili nel loro essere colpite senza scampo dalla violenza degli eventi da cui verranno travolte.
Simili temi non permettono forse scritture roboanti e una scrittura incalzate, certo è che la prosa di Modiano scorre lenta, quasi ipnotica, a volte onestamente un po’ troppo didascalica, come se a voler analizzare minutamente il più piccolo particolare si potesse poi comprendere l’intero ingranaggio di cui quell’evento è minuscolo a indispensabile parte. Chi legge – insomma – è tutt’altro che travolto dalla narrazione, può essere ipnoticamente sedotto oppure – possibilità da tenere in conto – sostanzialmente annoiato; la progressione è spiraliforme, lenta, sinuosa e sembra non arrivare mai al punto, ammesso che un punto dove arrivare ci sia davvero. Non è un libro per tutti, lo consiglieremmo a lettori attenti ed un po’ caparbi, pronti a leggere tra le righe tanto quanto ad accettare l’amara constatazione che anche un Nobel per la letteratura può deludere (e non sarebbe la prima volta).
Una lettura più da fine estate che da ombrellone, una scrittura percorsa dall’angoscia e dal male di vivere, molto “francese” nei tempi e nei modi (non crediamo si pecchi di troppa immaginazione nel vedere un bel po’ di Nouvelle Vague cinematografica nella descrizione di luoghi e personaggi), in cui la vita dei protagonisti ed il tempo che li accoglie sono tanto reali quanto sospesi, in un percorso esistenziale che sembra snodarsi guidato da un Fato che offre solo sprazzi illusori di una felicità destinata tragicamente a non essere mai davvero raggiunta.