A Grottaglie si afferma spesso, tra il serio ed il faceto, che “San Ciro è amante dei forestieri”, per sottolineare l’abitudine – vera o presunta – che nella Città delle Ceramiche godano di maggior apprezzamento iniziative ed attività ideate da “stranieri” rispetto ad altre simili, ma organizzate da grottagliesi. Consapevole di questo possibile difetto di valutazione ho esaminato la questione che affronterò nelle righe seguenti più volte e sotto diversi aspetti, convincendomi infine a ricorrere al parere dei lettori di GIR, per avere il conforto della loro opinione quale “vox populi, vox Dei”.
In questi giorni, per le strade di Grottaglie, l’accorto passante avrà notato due cartelli che pubblicizzano degli spettacoli teatrali; il primo si riferisce alla stagione grottagliese, l’altro al ciclo di spettacoli messi in scena a Ceglie Messapica.
Una delle prime cose che salta all’occhio è la disparità dei prezzi: con il costo di un solo spettacolo grottagliese, ci si può abbonare a quattro spettacoli a Ceglie, con posto in platea. Non so se gli spettacoli grottagliesi siano quattro volte migliori di quelli cegliesi, me lo auguro per gli spettatori, ma non è questo il punctum dolens, focalizzato invece dal tema della rassegna messapica ed ancor più dalla “visione” che l’ha originata.
Il ciclo di spettacoli cegliesi è infatti presentato come “Teatro a tutti i costi”; e se una prima interpretazione potrebbe far propendere ad una lettura meramente economica della proposta, è il claim sottostante a suggerire la possibilità di un arguto gioco di parole: “Una scelta consapevole, civile, per la cultura”. Prezzi popolari per consentire a tutti di poter godere di uno spettacolo teatrale, riprendendo quella che è da millenni la “missione” del teatro: non solo svago e divertimento ma anche confronto culturale e stimolo alla riflessione ed alla socialità.
Torniamo a Grottaglie senza, ribadiamolo, voler entrare nel merito artistico o nel valore culturale (qualunque cosa si voglia e possa intendere con questi termini) degli spettacoli proposti; Evidentemente venticinque euro per uno spettacolo non è un prezzo esattamente popolare, così come è altrettanto evidente che con 5 euro a biglietto a Ceglie Messapica non copriranno i costi dello spettacolo, quindi la scelta è politica (nel senso meno partitico del termine) ed è legata – diciamolo senza giri di parole – al peso ed al valore che alla cultura si da nell’ambito della vita cittadina e nel bilancio finanziario della Amministrazione Comunale.
Siamo arrivati allora alla domanda cruciale, che affronta una riflessione generale ed è in larga parte indipendente dal prezzo del biglietto di un singolo spettacolo: che peso e che valore ha la cultura a Grottaglie? Quanto viene favorita l’espressione artistica, il confronto intellettuale, lo stimolo creativo? Ciascuno si potrà dare le sue risposte, chi scrive si limita ad elencare alcuni fatti, utili a riflettere sulla questione.
Grottaglie non ha un teatro comunale; lo hanno Martina Franca, Ceglie Messapica e Carosino, solo per citare alcuni dei centri vicini, ma non Grottaglie, che invece fa affidamento ad una struttura privata come quella ospitata nel centro “Monticello” dei Padri Gesuiti. Oltre alle ovvie limitazioni insite nell’utilizzo di una struttura privata, il problema – come acutamente sollevato da un interlocutore in occasione di una amichevole chiacchierata di qualche giorno fa – è di disponibilità futura: ad oggi i Padri Gesuiti di Grottaglie sono pochi ed abbastanza anziani; se domani questi venissero destinati dai loro Superiori ad altra sede ed il centro “Monticello” venisse chiuso, le conseguenze sono facilmente immaginabili. Si potrebbe obiettare che ad oggi nulla lascia presagire scenari così foschi e che un secondo teatro a Grottaglie sarebbe un doppione, ma la politica è anche l’arte di prevedere e programmare il futuro, e forse cominciare a pensare ad una struttura pubblica e moderna non sarebbe così inutile, visti anche i tempi probabili di realizzazione della stessa, ipotizzabili sulla scorta delle pregresse esperienze legate alla nuova sede del liceo “Moscati” e ad alla definitiva ubicazione della “Foc’ra” in onore di San Ciro.
Ma cultura non è solo teatro, e allora allarghiamo lo sguardo anche su altri aspetti della questione: degli eventi dell’estate grottagliese si è detto in passato, e ripetersi parrebbe opera di cecchinaggio ai danni della Croce Rossa; basterà ricordare che da un bel po’ di anni il programma è sempre più asfittico, quasi completamente affidato alle iniziative private, e che anche eventi oramai storici come “Musica Mundi” sono stati messi malinconicamente in archivio, lasciando l’onore e l’onere dell’animazione pubblica estiva ad una “Mostra della Ceramica” che in maniera sempre più evidente – a detta di molti – esige un profondo ripensamento.
Della biblioteca comunale si sono oramai perse le tracce, qualcuno la ricorda aperta per una “Notte (s)bianca” a fine 2008, quando sembrava imminente la sua inaugurazione, poi più volte data per imminente ed infine pudicamente obliata e rimandata a data da destinarsi. Anche in questo caso, a supplire alle necessità accorre la biblioteca del “Monticello”, e taciamo ulteriori commenti.
La galleria comunale dell’”Acchiatura” pare essere ancora chiusa per lavori di adeguamento e migliorie, anche se a leggere il cartello esposto all’esterno questi sarebbero dovuti terminare da un bel po’, unica alternativa pubblica è la pinacoteca di Palazzo De Felice, di fatto però vietata ai disabili a causa delle scale da utilizzare per accedere alla struttura. Non meglio va per il cinema; a fronte di una sala privata che ovviamente propone titoli di cassetta, le alternative costituite dalla rassegna estiva che si teneva al campus “Savarra” ed il cinecircolo organizzato da una associazione culturale sono – anche loro – ricordi sbiaditi nel tempo.
Non molto meglio va per le politiche giovanili e le annesse vicissitudini del laboratorio urbano; gli unici spazi di aggregazione per i ragazzi di Grottaglie paiono essere le vie del centro, e si arrangi chi ha voglia di incontrarsi, discutere, confrontarsi, ideare. Se a volersi incontrare e discutere sono adulti la scelta è invece tra l’auditorium (privato) di una banca locale, o il salone del Castello Episcopio, un ambiente in cui la qualità dell’acustica fa concorrenza all’eleganza dell’arredamento, non certo un biglietto da visita ideale per quella che vorrebbe presentarsi per una città d’arte.
Ci si risponderà con piglio benealtrista che in tempi di crisi le priorità sono altre, che occorre fare economie e risparmiare sulle prese non indispensabili, ed è proprio qui l’inghippo, perché finche penseremo – non un non rimpianto ex ministro – che “con la cultura non si mangia”, dilapideremo il patrimonio accumulato nei secoli passati e lasceremo solo macerie – fisiche ed intellettuali – alle generazioni a venire. Tra poco entreremo nel vivo delle campagne elettorali prossime venture e slogan e programmi non mancheranno; auguriamoci che si voglia e si possa fare meglio del recente passato anche perché fare peggio pare obbiettivamente difficile.