Forse mai come in queste settimane il confronto tra Bruxelles e Roma ha rischiato di trasformarsi in scontro aperto. Sulle decisioni del Governo italiano la UE ha puntato spesso gli occhi, ma la tripletta di queste ultime ore ha surriscaldato gli animi: Al centro delle perplessità europee il deficit del bilancio, il salvataggio delle banche in crisi e – argomento a cui in riva allo Ionio si è particolarmente sensibili – i presunti aiuti di stato all’Ilva di Taranto.
Pochi giorni fa è infatti arrivata a Roma la comunicazione formale che preannunciava l’apertura procedura di infrazione per i finanziamenti forniti all’Ilva. La lettera è stata firmata dal commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager ed esplicita le perplessità della UE sull’ultimo prestito concesso all’Ilva, che Bruxelles considera un “aiuto di Stato”, lesivo della libera concorrenza e quindi vietato dalle vigenti norme europee. Di diverso avviso il Governo italiano, che sottolinea che il prestito non sia un mero contributo finanziario volto al sostegno economico della società siderurgica, quanto piuttosto un indispensabile strumento per consentire il risanamento ambientale ed impiantistico della stessa Ilva. Al momento la procedura di infrazione non è stata ancora completata, ma se la pratica dovesse proseguire, Palazzo Chigi appare intenzionato a ricorrere alla Corte di Giustizia europea, convinto come è – secondo le parole del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio – che “sia stato fatto tutto quello che si dovesse fare per salvare la principale azienda siderurgica del Paese”.
La questione rende agitato il Natale non solo degli organismi politici coinvolti, ma anche e soprattutto chi sulla questione è parte in causa, in diversi modi: se da una parte la lettera della UE ha rinfocolato le istanze di chi chiede una rapida e definitiva chiusura dello stabilimento ionico, considerato impossibile da risanare, dall’altra la questione getta ulteriore benzina sul fuoco delle preoccupazioni delle migliaia di dipendenti diretti e delle ditte dell’indotto che da mesi oramai non hanno certezze sul loro futuro a medio e lungo termine.